ZES E DOGANA, UN FATTORE DI SVILUPPO
Nella delega al Governo per la riforma del sistema fiscale, appaiono nuovamente le zone economiche speciali (ZES), già oggetto della Missione 5 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Se a ciò aggiungiamo il recente pronunciamento UE sulle zone italiane, comprendiamo la rinascita di interesse per un importante strumento di sviluppo.
“Favorire lo sviluppo economico del Mezzogiorno e la riduzione del divario territoriale, valutando la semplificazione del sistema di agevolazioni fiscali nei riguardi delle imprese finalizzato al sostegno degli investimenti, con particolare riferimento alle zone economiche speciali”: l’indicazione del Parlamento al Governo è chiara: dare impulso e semplificare le agevolazioni connesse alle ZES, così da trasformarle, come nelle intenzioni generatrici dell’istituto, in un veicolo di crescita delle zone depresse del Mezzogiorno. E ciò in linea con il recente nulla osta UE all’unificazione delle otto zone economiche speciali di Abruzzo, Campania, Puglia, Basilicata, Molise, Calabria, Sicilia e Sardegna in un’unica zona coincidente con il Mezzogiorno d’Italia. Attesa la finalità essenzialmente espansiva (della produzione e dell’occupazione) quale ragione giustificatrice delle zone economiche esclusive, appare evidente come la leva fiscale e quella delle agevolazioni burocratico/amministrative costituiscano il mezzo più idoneo per attirare l’interesse di investitori esteri; tuttavia, anche la leva doganale ben si sposa con le finalità della ZES: riduzioni ed esenzioni daziarie, facilitazioni all’esportazione, gestione unitaria dei processi di trasformazione delle merci, possibilità di detenzione dei beni allo stato estero e loro libera circolazione, semplificazioni logistiche, varrebbe la pena pensarci…