E la chiamano estate…
L’estate è quel momento in cui fa troppo caldo per fare quelle cose per cui faceva troppo freddo d’inverno.
Mark Twain, un memorabile acconciatore di parole, un adorabile affabulatore, certo, ma anche un umorista di una finezza intellettuale oggi, ahimè, sconosciuta.
Nei giorni passati caldo ne ha fatto tanto, troppo dirà qualcuno, mai abbastanza, diranno altri; la volubilità dell’animo umano!
Tanto, troppo o poco che sia stato, la volontà prostrata ha liquefatto il pensiero in lucide gocce di salina sopravvivenza, limitando l’attività cerebrale alle funzioni vitali, desiderio di acque cristalline e limpide vette.
The summer wind came blowin’ in from across the sea…
I pensieri svaniscono nel fresco silenzioso delle passeggiate boschive o nei chiassosi meriggi bagnati dalle onde, carpe diem, settembre è lontano, la dogana anche.
Almeno, per tutti coloro capaci di astrarre il proprio io dallo spazio e dal tempo che abbracciano la loro fisicità, plasmando un clone, divertito e divertente, capace di vagare spensierato tra i paesaggi della stagione più colorata dell’anno, rimandando a domani le preoccupazioni oggi sgradite.
E non dimentichiamo l’afflato nazionalistico che lo spirito olimpico, puntuale ogni quadriennio, esalta, nell’enfasi delle calde serate all’aperto, prima di cadere nuovamente in un sonno profondo e destarsi nuovamente nella caleidoscopica Los Angeles.
Le guerre, purtroppo, non vanno in vacanza.
E nemmeno i problemi ad esse legati, detto con un velo di vergogna, atteso come il vero problema siano le vite umane spazzate via da una stupidità senza confini, che la storia perpetua in un vichiano rincorrersi.
Quindi, niente villeggiatura per dogana, politica, geopolitica, in grado di sopperire alla temporanea assenza dei loro condottieri in ragione di una granitica organizzazione.
E che, pur nel silenzio agostano (sempre che di silenzio sia lecito parlare, le sorprese sotto l’ombrellone non sono mai mancate) ci ricordano di una campagna elettorale statunitense ancora tutta da decifrare; di una Commissione europea, nuova nei nomi, forse non altrettanto negli intenti, all’esame di una ambiziosa visione programmatica; di una riforma doganale unionale di cui non parleremo mai abbastanza; di una riforma doganale nazionale di cui sarebbe il caso di iniziare a parlare spogliandosi di personalistici intenti e nell’interesse del diritto e dello sviluppo economico; di una reingegnerizzazione dei processi doganali colpevolmente monca e scarsamente compresa; di una transizione ambientale (non solo CBAM, ma anche EUDR) scolpita nella pietra, ma da scrivere nelle coscienze di una società di operatori economici avvelenata da incomprensibili oneri documentali; di una stagione autunnale prodiga di cambiamenti, in rapido avvicinamento ad un 2025 spartiacque tra il prima e il dopo di un universo doganale in perenne espansione; di una geografia, umana e politica, così liquida, da scivolare tra le dita e sfuggire ad ogni saggio insegnamento del passato.
Il nostro riposo non contempla cali di attenzione, ma una sempre rinnovata passione per l’analisi e la formazione.
Ci rivedremo al rientro agli usati lavori, quando le serate casalinghe sostituiranno i festosi dopo cena vacanzieri.
Sempre, in direzione ostinata e contraria.
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