01 Settembre 2024

In direzione ostinata e contraria

Autentico genio eccentrico della filosofia moderna, Bertrand Russell (se non l’aveste ancora letta, vi consigliamo la sua “Storia della filosofia occidentale”, a dir poco illuminante) scriveva che “Il fatto che un’opinione sia ampiamente condivisa, non è affatto una prova che non sia completamente assurda…”.

Flashback: primavera 2002, da qualche mese le controversie doganali sono devolute alla giurisdizione del giudice tributario, il Presidente della Commissione Tributaria Reginale della Liguria chiama uno degli estensori di queste righe e chiede se sia possibile fornire ai giudici un testo dove studiare la materia doganale.

Domanda giustificabile, da chi è abituato a fondare i propri convincimenti sul Testo Unico delle imposte sui redditi o dell’imposta di registro e sul decreto Iva, ma senza risposta, in materia doganale: sig. Presidente, esistono (allora) il Codice doganale comunitario e le disposizioni di applicazione, costituiscono la normativa base, insieme al Testo Unico delle disposizioni legislative in materia doganale italiano e il Testo Unico delle imposte sulla produzione e sui consumi (amichevolmente, accise) ma non sono sufficienti a coprire tutta la teoria applicabile in dogana.

Ed infatti, per molti anni, anche i supremi consessi di giurisdizione tributaria hanno sentenziato innumerevoli sciocchezze in materia di preferenzialità, valore, classificazione, origine non preferenziale.

Perchè il sapere doganale non si studia (solo) sui libri, non si impara nelle aule compassate dei tribunali o nelle paludate sale riunioni di importanti studi professionali. Il saper doganale, anzi, il diritto doganale, è un sapere circolare, che nasce dall’osservazione della realtà e da questa trae linfa per modificarla in meglio: se una delle due premesse manca, il sillogismo non funziona.

Leggendo lo “Schema di decreto legislativo recante disposizioni nazionali complementari al codice doganale dell’Unione e revisione del sistema sanzionatorio in materia di accise e di altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi” l’impressione che noi abbiamo avuto è esattamente questa: non funziona.

Un lodevole esercizio, anche riuscito, in alcune parti, di teoria doganale, che non parla alle imprese, ordina alle imprese; una sensazione di dejà vu, di compromesso stile prima repubblica (ammesso che ne siano esiste una seconda, una terza, etc.), un do ut des che, storicamente, può funzionare, ma non accontenta nessuno.

Un ponte verso l’Europa, ha detto il Direttore Alesse, che, ancora oggi, sul Corriere della Sera, ribadisce l’importanza di una di semplificazione della normativa vigente per tutelare le libertà costituzionali e garantire ai cittadini un diritto soggettivo alla semplicità nell’azione amministrativa.

E’ proprio sicuro, sig. Direttore, che quella intrapresa sia la via giusta?

Al di là del suo evidente interesse per la materia dei giochi e delle accise, in particolare sul tabacco e derivati, in grado di garantire introiti considerevoli da spendere politicamente, crede davvero che questa riforma giovi alle aziende?

Noi abbiamo l’impressione opposta, che giovi all’amministrazione finanziaria, che si sia tornati a innalzare il vessillo dell’azione penale come misura non di doverosa risposta alla commissione di reati, ma come arma di inutile terrore, che si siano, forse al di là delle intenzioni di chi ha vergato il testo, vanificando il sillogismo, conservati istituti assolutamente inutili e di cui da anni si paventa l’abolizione, come il servizio di riscontro, la visita approdi e la vigilanza nelle zone marittime e negli aeroporti, negli spazi doganali, quindi, da parte dei militari della Guardia di Finanza, che, in sintesi, si sia riscritto il TULD senza il reale obiettivo di semplificare la vita delle aziende, bensì per adeguarsi ai dettami unionali, così da non avere problemi di future e fastidiose contestazioni all’attuale compagni governativa, senza modificare più di tanto status quo, per non alterare precari equilibri e complessi scenari politici.

E, quando si è intervenuti, si è fatto peggio, nonostante una campagna pubblicistica, con rare eccezioni, come Il Sole 24 Ore, a senso unico, ad innalzare dagli ombrelloni e dai sentieri di montagna potenti peana di gioia.

La Corte di Giustizia UE e la Corte di Cassazione affermano che il rappresentante indiretto non può essere chiamato a rispondere del mancato versamento dell’Iva dovuta dal dichiarante in assenza di una norma specifica che individui tale responsabilità e la nuova normativa cosa fa? Inserisce l’Iva tra i diritti di confine, ovvero anzi che agire sul soggetto (il rappresentante indiretto) modifica l’oggetto (il tributo).

E non importa se le Sezioni Unite della Corte di Cassazione abbiano sollevato la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 70, D.P.R. n. 633/72, che applica la sanzione della confisca doganale, in quanto, non essendo l’Iva un diritto di confine, non può prevedersi in importazione una pena maggiormente afflittiva di quella applicabile alle transazioni interne; e non importa se la Corte di Giustizia UE dice, fina dal lontano 1988, che l’Iva non è un diritto di confine. E non importa se in molti Paesi europei l’Iva in dogana si paga unitamente all’Iva interna, con le liquidazioni periodiche.

Un ponte verso l’Europa o un cieco ritorno al passato?

L’art. 303, TULD è una ignominiosa violazione al principio di proporzionalità dettato dal Codice unionale e noi cosa facciamo? Introduciamo le figure di omessa dichiarazione e di dichiarazione infedele e le qualifichiamo come reato di contrabbando, punibile con la sanzione amministrativa solo se non aggravato o se uno dei diritti dovuti (Iva compresa, grazie al colpo di genio di cui si è appena detto) è inferiore a € 10.000,00.

Diversamente, notizia di reato e solo se l’autorità giudiziaria non ravviserà l’intento doloso, applicazione di una sanzione amministrativa dall’80% al 150% dei diritti di confine dovuti; gioiamo e rallegriamoci, la sanzione è notevolmente inferiore a quella del precedente art. 303, TULD! Come dite? L’azione penale, il costo dell’avvocato, il possibile danno di immagine, i tempi della giustizia italiana? Suvvia, che volete che sia! E chissà quante bottiglie di champagne si stapperanno nei corridoi dei tribunali, in ardente attesa di un nuovo carico di lavoro.

Uno sguardo al futuro o una preoccupante cecità?

Importare beni, destinati ad altro Paese UE, senza versare l’Iva, oggi, dopo lunghe traversie, è semplice: è sufficiente indicare nella dichiarazione di importazione il codice identificativo Iva del soggetto che verserà l’imposta nel Paese di destinazione.

Importare beni, destinati ad altro Paese UE, senza versare l’Iva, domani, sarà ben più complesso, poiché l’autorità doganale può chiedere la costituzione di una garanzia, che verrà incamerata, tra l’altro, se entro 45 giorni la parte non dimostrerà documentalmente l’avvenuto trasferimento dei beni.

Qualcuno obietterà: la novella dice che la dogana “può” chiedere, non “deve” chiedere; e qui si manifesta, palese, il problema della conoscenza operativa di cui si accennava in precedenza: nell’ottica degli uffici, in assenza di disposizioni chiare che limitino esemplificativamente i casi, al fine di evitare contestazioni disciplinari, quel “può” si legge “deve”; e si torna, così, al 1993, altro che ponte verso il futuro.

E qui ci fermiamo, non vogliamo tediarvi oltre.

Potremmo dire della rappresentanza, in nulla mutata rispetto a oggi, per la quale è stato semplicemente trasfuso in un testo normativo quanto previsto da una circolare; o delle temporanee importazioni ed esportazioni, vendute come copernicana rivoluzione, quando le aziende applicano diligentemente i regimi unionali e le operazioni temporanee, in base alla normativa nazionale, costituiscono ben misera percentuale.

Dunque?

Una occasione sprecata, una delle tante in materia doganale.

Direttore Alesse, ben altra strada è da seguire per raggiungere l’Europa; un’amministrazione capace, competente, aggiornata, moderna, nella quale entri l’azienda, così come noi portiamo la dogana in azienda; e non servono tanti concorsi e giovani anche motivati, se nessuno è in grado di formarli correttamente.

E saper ascoltare, agire con autorevolezza, senza nascondersi dietro l’autorità.

Volete conoscere il testo completo del pensiero di Bertrand Russel che abbiamo utilizzato come incipit? “Il fatto che un’opinione sia ampiamente condivisa non è affatto una prova che non sia completamente assurda. Anzi, considerando la stupidità della maggioranza degli umani, è più probabile che un’opinione diffusa sia cretina, anziché sensata”.

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