Filosofia & Compliance
“La filosofia non è un’arte di tipo popolare, né si presta a essere ostentata. Non è fatta di parole, ma di azioni. E non si pratica la filosofia per passare il tempo in modo divertente, o per togliere un certo disgusto legato all’inattività. La filosofia forma e struttura l‘animo, ordina la vita, regola le azioni, mostra ciò che va fatto e ciò che va tralasciato. Siede al timone e, tra le ondate dei marosi dà la rotta dei naviganti”.
Presuntuoso parlare d filosofia in uno scritto di diritto doganale? Può darsi, la presunzione, come scrisse un acuto osservatore del costume nazionale, ci fa credere di essere quel che vorremmo essere.
Pensiamo ad Aristotele, che ha teorizzato la filosofia pratica, ben prima che una crisi delle coscienze e del pensiero la recuperasse nel secolo scorso; una filosofia per la quale la verità non è il fine, ma solo un mezzo in vista di altro, ossia dell’azione, la quale è sempre situata nel tempo presente, non è qualcosa di già esistente, ma qualcosa che deve esser fatto ora.
La customs compliance è una filosofia, è interpretazione del pensiero del legislatore che diviene regola di vita, modo di essere di un processo governato e controllato.
Almeno, la compliance doganale intesa quale sistematico e strutturato adempimento collaborativo di comunicazione e cooperazione preventiva per la corretta applicazione delle disposizioni doganali e fiscali correlate.
La gestione del rischio doganale, il possesso di adeguato strumenti di audit contabile e operativo, l’utilizzo appropriato e consapevole degli strumenti di certezza giuridica e di semplificazione offerti dalla normativa UE e nazionale, l’adattabilità organizzativa ai cambiamenti ne sono gli strumenti; un approccio olistico alla dogana è il viatico a una seria compliance doganale.
Una filosofia che vaticina un’azione, ovvero una strategia, un insieme di scelte che consentono all’azienda di coordinare i flussi internazionali pur nell’incertezza, mai così presente e pressante, di un panorama geopolitico liquido e incerto: un risultato che scaturisce dalla solidità teorica, ma anche dalla azionabilità pratica della strategia stessa, in termini di efficienza, sicurezza, resilienza.
La customs compliance è una filosofia oggi indefettibile.
Pensiamo alla sciagurata riforma del diritto doganale nazionale; pensiamo a quel salto nel passato che rappresenta l’uso della pena quale contrappasso per chi sbaglia, non volontariamente, ma semplicemente sbaglia; pensiamo alle conseguenze, economiche e reputazionali, di un indiscriminato (perchè non regolamentato) uso del diritto penale, testimoni secoli di inutili guerre ai fantasmi dell’evasione tributaria.
Pensiamoci; e ci accorgeremo che non sono solo i modelli organizzativi a reclamare a gran voce una nuova veste, tanto elastica, da contenere un potenziale indefinito concetto di contrabbando; è il processo doganale o, meglio, la governance del processo doganale da rivedere fin dalle sua fondamenta, così da edificare, su una così solida pietra angolare, un futuro, non scevro da rischi, impossibile laddove la discrezionalità non venga estirpata, ma di quella sofferta tranquillità che ogni azienda onesta, anche se, a volte, un po’ distratta, merita.
Perchè le aziende continuano ad essere oggetto delle attenzioni del legislatore unionale: lo sono nel Codice unionale vigente, che le eleva al rango di interlocutore privilegiato dell’autorità doganale, destinatarie di benefici e agevolazioni quali mai in precedenza, in cambio di una affidabilità sempre più necessaria nell’agone internazionale; lo sono nella legislazione sui beni a duplice uso, chiamate a vergare nei programmi interni di conformità un impegno programmatico e ufficiale di definizione delle politiche di controllo delle proprie operazioni di esportazione, la consacrazione dell’export control; lo sono nella disciplina CBAM, chiamate a contribuire direttamente, a proprie spese, alla transizione verde tanto cara alla nomenclatura di Bruxelles, pilotando, nelle illusorie speranze della Commissione UE, recalcitranti fornitori di Paesi più o meno altamente inquinanti verso la retta via di Parigi e delle zero emissioni; lo sono nella normativa EUDR, che presuppone due diligence ad elevato rischio di insuccesso, improbabili investigazioni internazionali, responsabilità per inadempienze dell’intera catena di approvvigionamento, nella considerazione di una supposta onnipotenza commerciale delle società europee.
La compliance come regola di vita, non più come possibilità.
Un esame di coscienza doganale, come quello che i nostri padri predicavano la sera, prima di addormentarsi, per risvegliarsi, all’alba, con un’anima più leggera.
E noi curiamo le anime aziendali.
Continuate a seguire Overy e C-Trade, l’unico ecosistema integrato che tutela e prepara le aziende al futuro.