02 Gennaio 2025

Cattivi pensieri

Il tempo scorre veloce. Una affermazione, apparentemente, senza senso. Il tempo non scorre né veloce, né lento; semplicemente, non scorre.

E’ relativo, quadridimensionale, passato, presente e futuro concetti indefiniti, il reale a liquefarsi tra ciò che è stato, è e sarà; il tempo potrebbe non esistere, la sua natura e la sua sorgente costituiscono il mistero più impenetrabile del sapere universale, la saggezza filosofica e fisica ne cercano, percorrendo vie parallele e mai coincidenti, l’essenza, scoprirla significherebbe comprendere l’esistenza di Dio e le leggi dell’universo.
Troppo, forse, per le limitate capacità cognitive umane, che rifugiano l’animo nella fede, nella religione, da un lato, nella scienza, dall’altro, dove la ragione sussulta e quieta nella consapevolezza dei propri limiti.
Eppure, noi continuiamo a scandire la storia in secondi, minuti, ore giorni, mesi, anni, illudendoci che il tempo passi, quando ciò che i nostri occhi vedono è solo la percezione del rapporto spazio-tempo che, all’alba della civiltà, abbiamo assunto come misura delle nostre azioni.
E, come ogni fine d’anno, sopraffatta la sacralità del Natale dall’affanno figlio della più inarrivabile campagna comunicativa mai pensata, capace di trasformare l’essere in avere, ci troviamo a srotolare il gomitolo dei ricordi per riannodare i fili delle buone intenzioni, forche caudine che tutti attraversiamo, inutilmente, al varcar dell’anno.
22 dicembre, Palazzo Madama, XXVII Concerto di Natale nell’aula del Senato, alla presenza del Presidente della Repubblica; il Maestro Riccardo Muti, monumento vivente dell’arte musicale, deve interrompere proprio discorso per ricordare ai nostri supremi rappresentanti di spegnere il cellulare, lo squillo di qualche simpatica suoneria e l’eco della telecronaca di una partita di calcio, già uditi in precedenza, mentre le note fluivano leggere e l’alto uditorio applaudiva a casaccio, non avrebbero trovato l’accondiscendenza di Beethoven e Bizet.
L’arguzia e lo spirito partenopei del Maestro non devono sottacere, non la gravità, ma la stupidità dell’accaduto, figlia di un vizio dei nostri tempi: la mancanza di rispetto.
Rispetto è un concetto antico, ormai sottomesso alle più moderne idee di prevaricazione e arroganza, di prevalenza dell’io sul noi, dell’interesse personale su quello collettivo: non si rispettano più le persone, le idee, le diversità.
Manca di rispetto alla storia chi, nel mondo, uccide impunemente, all’ombra del diritto di difesa, in spregio alle consuetudini internazionali; manca di rispetto alla storia chi gestisce il potere cercando sempre il nemico per giustificare le proprie azioni; manca di rispetto all’umanità chi scarifica vite innocenti per guadagnarsi un incerto paradiso; manca di rispetto alla storia chi pensa che la forza debba prevalere sul dialogo e sul confronto; ma manca di rispetto all’intelligenza altrui anche il legislatore che emana una sciagurata legge, dichiarandola complementare al Codice doganale dell’Unione; manca di rispetto all’intelligenza altrui l’amministrazione, correa di tale scempio, che, pervicace, benchè comprensivamente obbligata, scala lisci vetri per giustificarne le modalità applicative e riparare guasti inguaribili.
Non possiamo porre una cieca fiducia in un Paese che ha perso o, forse, non ha mai avuto il rispetto per le proprie donne, in cui, testimone il 58°Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, l’ignoranza, humus prediletto in cui germoglia l’offesa al rispetto, regna sovrana e il conformismo impera (concedetemi una digressione: “Il conformista/È uno che di solito sta sempre dalla parte giusta/Il conformista/Ha tutte le risposte belle chiare dentro la sua testa/È un concentrato di opinioni/Che tiene sotto il braccio due o tre quotidiani/E quando ha voglia di pensare pensa per sentito dire/Forse da buon opportunista/Si adegua senza farci caso/E vive nel suo paradiso”: grazie Giorgio!).
Ascoltiamo proprio il Censis: “5. Dentro l’oscillare di continuità e cambiamento, di attesa e di trasformazione, di cinismo individualista e di coesione collettiva, in una complessità temporale povera di regole, come sempre il respiro sociale cerca un proprio ritmo per esercitare le proprie intenzioni. In questo anno difficile, e dopo un così lungo tempo trascorso nell’attesa, bisogna prendersi il rischio di andare oltre. 6. Dopo anni – ormai più di un quindicennio – in cui la società italiana è rimasta alla finestra, si affacciano all’orizzonte un nuovo scenario mondiale e un nuovo scenario tecnologico nei quali le barche non salgono e non scendono più tutte con la stessa marea. 7. In larghissima maggioranza, gli italiani tuttavia galleggiano, nonostante tutto e come sempre…”.
Galleggiare è una qualità, quando la si applica nello stato di bisogno, ma diventa un limite, quando la si adotta come stile di vita; sinonimo di sopravvivere, indica l’incapacità o la mancanza di volontà di imparare, di crescere, di pensare, quindi.
“E’ a forza di pensare ai fiori, che i fiori crescono”: il proverbio cinese, raccontato dal Maestro Muti durante il proprio discorso al Senato, sintetizza mirabilmente l’essenzialità del pensiero, senza risalire al più conosciuto Cartesio.
Il pensiero, da sempre, è il primo nemico del potere non democratico e la sua libertà, da questo, ovunque nel tempo, negata: pensare è comprendere, comprendere è crescere o, citando Bergson, esistere è cambiare, cambiare è maturare, maturare è continuare a creare se stessi, senza fine.
Pensare è sapere, è conquistare quel grado di indipendenza intellettuale che ci permette di scegliere, di acquisire quella conoscenza che, sola, ci rende consapevoli delle nostre possibilità e delle nostre responsabilità.
Responsabilità, dopo rispetto, pensare, sapere.
La responsabilità è figlia del sapere e del rispetto, l’assoluta mancanza di responsabilità, che caratterizza gran parte della società moderna, non importa di quale generazione, è figlia dell’arroganza ignorante che assume la furbizia nella forma più becera, comportamento proprio di coloro che si sentono così superiori, da rimanere immuni dalle conseguenze delle proprie azioni, da poter deviare su altri, che colpe non hanno, la responsabilità delle proprie azioni.
E’ la cultura del disimpegno, la ricerca del colpevole nell’altro, reale o ipotetico che sia, individuale o collettivo, uomo o società, superiore o dipendente, l’importante è non macchiarsi agli occhi dell’opinione pubblica, in una realtà che vive di immagine e di falsa rappresentazione di se stessi.
L’universo doganale è un microcosmo, che replica, nel bene e nel male, il cosmo che lo circonda e lo contiene; la positività o la negatività di quest’ultimo riverberano i loro effetti, benefici o deleteri, nel primo; ma, forse, del cosmo esterno l’universo doganale è la parte in più rapida trasformazione, in perenne movimento, in transizione verso un domani (o un oggi?) che, lentamente, scopriremo nei prossimi mesi, un ricamo di cui intuiamo la trama, dal rovescio della tela, ma di cui dobbiamo sforzarci di delineare il disegno, per trovarci preparati, quando l’arazzo della nuova dogana, inclusiva, olistica e resiliente, apparirà in tutta la sua chiarezza e la sua importanza.
Noi non sappiamo come sarà il nuovo anno; sarà come gli uomini lo faranno, poetava l’arguzia di Gianni Rodari.
Sappiamo come saremo noi, ancorati a quei principi di rispetto, pensiero, conoscenza e responsabilità, immanenti il nostro essere e carattere distintivo del nostro agire.
A tutti coloro che ci conoscono e ci hanno onorato della loro fiducia e della loro amicizia.
A tuti coloro che ancora non ci conoscono, ma che, con impegno e dedizione, speriamo divengano nuovi amici.
A tutti coloro che ci leggono e seguono la nostra idea di un sapere doganale senza confini.
A tutti, noi di Overy e C-Trade, l’unico ecosistema integrato che tutela e prepara le aziende al futuro, auguriamo un 2025 brillante, come la luce in una limpida alba invernale e ricco di calore, umano e professionale, come il sole di un colorato meriggio estivo.

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